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Lunedì, 16 novembre 2009
Capita a volte che, leggendo e rileggendo, risuonino in testa armonie segrete, sovrapposizioni compatibili come quando succede di ascoltare casualmente canzoni diverse che echeggiano da due diverse stanze. Capita con qualche maggiore frequenza con la poesia, sopratutto se la si legge da anni. Ecco uno dei casi in questione:Da ANGELO CIRCONDATO DA PAYSANS di Wallace Stevens (*)Io sono l’Angelo della realtà,intravisto un istante sulla soglia.Non ho ala di cenere, né di oro stinto,né tepore d’aureola mi riscalda.Non mi seguono stelle in corteo,in me racchiudo l’essere e il conoscere.Sono uno come voi, e ciò che sono e soper me come per voi, è la stessa cosa.Eppure, io sono l’Angelo necessario della terra,poiché chi vede me vede di nuovola terra, libera dai ceppi della mente, dura,caparbia, e chi ascolta me ne ascolta il cantomonotono levarsi in liquide lentezze e afferrarein sillabe d’acqua; come un significatoche si cerchi per ripetizioni approssimando.O forse io sono soltanto una figura a metà,intravista un istante, un’invenzione della mente,un’apparizione tanto lieve all’apparenzache basta che io volga le spalle,ed eccomi presto, troppo presto, scomparso.FORSE UN MATTINO ANDANDO di Eugenio MontaleForse un mattino andando in un'aria di vetro,arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:il nulla alle mie spalle, il vuoto dietrodi me, con un terrore di ubriaco.Poi come s'uno schermo, s'accamperanno di gittoAlberi case colli per l'inganno consueto.Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zittoTra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Sono, in fondo, due metapoesie. Entrambi gli autori sembrano dire: i poeti hanno il segreto, sono depositari di una conoscenza particolare, capaci di afferrare seppure per un attimo (o anche un solo verso) la realtà vera, di fissarla nelle parole o addirittura (come è stato sempre il pensiero dominante di Stevens) di ricrearla con l'immaginazione artistica. Non quello che comunemente chiamiamo il "vero" ma la realtà che sta al di là e oltre un mondo illusorio che nella vita normale non riusciamo a scalfire. O che non vogliamo scalfire.E' un problema di dubbio, di non-fiducia, che i poeti, uomini e donne dalle infinite domande, coltivano continuamente. Dice il filosofo James Hillman, nel suo Puer Aeternus: «Fiducia e tradimento non costituivano un problema per Adamo, quando passeggiava in compagnia di Dio al crepuscolo. L'immagine del Giardino come inizio della condizione umana esemplifica quella che si potrebbe chiamare “fiducia originale”, o la “fede animale” come l'ha definita Santayana, la credenza basilare – nonostante la preoccupazione, la paura, il dubbio – che la terra sotto i piedi è solida e reggerà anche il nostro prossimo passo, che il sole sorgerà anche domani e il cielo non ci crollerà sulla testa, e che il mondo è stato creato da Dio per l'uomo (...)". E se questa fiducia venisse meno, come in effetti accade in molta poesia del '900?Non è casuale il nome di George Santayana in questo contesto. Al grande filosofo americano di origine spagnola Stevens dedica una lunga composizione per la sua morte, avvenuta a Roma nel 1952: "Sulla soglia del cielo, le figure nella strada / divengono figure del cielo, il maestoso moto / di uomini che rimpiccioliscono nelle distanze dello spazio...". Per Santayana la "fede animale" o originale è necessaria ma non sufficiente: oltre alla fede nel mondo naturale serve anche una fiducia nell'intuizione, capace di cogliere qualcosa entro quello che lui chiama il mondo spirituale delle "essenze", un territorio di piena competenza dell'uomo e della sua psicologia ("Sono uno come voi, e ciò che sono e so / per me come per voi, è la stessa cosa", dice l'angelo di Stevens). Ma qui potremmo scomodare anche Husserl e la sua "intuizione eidetica", essenziale per cogliere selettivamente e per eliminazione la complessità fenomenologica del mondo. Per Montale è Italo Calvino a citare Merleau-Ponty, nella sua nota e bella lettura di "Forse un mattino andando": "Merleau-Ponty nella Fenomenologia della percezione ha pagine molto belle sui casi in cui l'esperienza soggettiva dello spazio si separa dall'esperienza del mondo oggettivo (nel buio della notte, nel sogno, sotto l'influsso della droga, nella schizofrenia, etc.). Questa poesia potrebbe figurare nell'esemplificazione di Merleau-Ponty: lo spazio si distingue dal mondo e s'impone in quanto tale, vuoto e senza limiti. La scoperta è salutata dal poeta con favore, come «miracolo», come acquisizione di verità contrapposta all' «inganno consueto», ma anche sofferta come vertigine spaventosa: «con un terrore di ubriaco». Neanche «l'aria di vetro» sostiene più i passi dell'uomo; l'avvio librato dell'«andando», dopo il rapido volteggio, si risolve in un barcollare senza più punti di riferimento" (v. il testo completo QUI). Montale quindi sottolinea la condizione "speciale" del poeta, la scintilla percettiva che il poeta con la sua arte rielabora, nobilita e offre agli altri nel momento stesso in cui la scrive (autocompiacendosi inoltre di scriverla, contraddicendo il silenzio e il "segreto" di cui parla negli ultimi versi). Certo, potremmo continuare il gioco dei rimandi, compreso l'onnipresente Heidegger e la sua riflessione sulla condizione di inautenticità. Ma quello che conta è ancora riconoscere, parafrasando di nuovo Santayana, che "la vita da poeti è un sogno sotto controllo" o, con Stevens, che "la realtà è un'attività dell'immaginazione più augusta". E che forse il "miracolo" di cui parla Montale risiede nella mente stessa dell'artista.(*) I am the angel of reality, Seen for a moment standing in the door. I have neither ashen wing nor wear of ore And live without a tepid aureole, Or stars that follow me, not to attend, But, of my being and its knowing, part. I am one of you and being one of you Is being and knowing what I am and know. Yet I am the necessary angel of earth, Since, in my sight, you see the earth again, Cleared of its stiff and stubborn, man-locked set, And, in my hearing, you hear its tragic drone Rise liquidly in liquid lingerings, Like watery words awash; like meanings said By repetitions of half-meanings. Am I not, Myself, only half of a figure of a sort, A figure half seen, or seen for a moment, a man Of the mind, an apparition apparelled in Apparels of such lightest look that a turn Of my shoulder and quickly, too quickly, I am gone?
(trad. R. Poggioli)
illustrazione: Caravaggio, San Matteo e l’angelo, 1601 ca., olio su tela, 223x183 cm, opera distrutta nel 1945, durante la caduta di Berlino.
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